In
              un romanzo molto bello di Ian McEwan, Bambini nel tempo
              (tr. di Susanna Basso, Einaudi 1988, ora anche nei Tascabili dello
              stesso editore) si racconta di quella volta che Stephen e Julie
              avevano portato la figlia Kate al mare e si erano messi a
              costruire un castello di sabbia. "Il trio lavorava in
              chiassosa armonia, dividendo l'uso di un secchiello e due palette,
              scambiandosi ordini perentori, dichiarando il proprio favore o la
              disapprovazione per l'altrui scelta delle conchiglie o la forma
              delle finestre, e correndo mai camminando - avanti e indie
              
              tro per la spiaggia in cerca di materiale nuovo. Quando tutto fu a
              posto ed ebbero fatto svariati giri di ricognizione intorno al
              capolavoro, si strinsero dentro le mura e sedettero in attesa
              della marea. Kate era convinta che il loro castello fosse stato
              costruito tanto bene da potere resistere al mare. Stephen e Julie
              l'assecondarono, facendosi beffe dell'acqua quando prese a lambire
              appena i contorni e scacciandola a fischi quando iniziò a
              risucchiare i primi pezzi del muro. Mentre aspettavano la rovina
              finale, Kate, che si era infilata tra loro due, li supplicò di
              rimanere dentro al castello. Voleva che ne facessero la loro casa.
              
              
              Basta
              con Londra, sarebbero rimasti per sempre a vivere sulla spiaggia e
              a giocare questo gioco. Ed era stato più o meno a quel punto che
              gli adulti avevano rotto l'incantesimo e si erano messi a guardare
              l'orologio e a parlare di cena e di molti altri impegni. Fecero
              notare a Kate che tutti e tre dovevano passare da casa a prendere
              il pigiama e lo spazzolino da denti. Questa le parve un'idea
              carina e sensata e si lasciò persuadere a
              
               riprendere il sentiero e tornare
              all'automobile. Per giorni poi, finché la faccenda non fu del
              tutto dimenticata, continuò a chiedere quando sarebbero andati a
              vivere nel loro castello di sabbia. Lei aveva detto sul serio.
              Stephen pensò che se fosse riuscito a far tutto con l'intensità
              e l'abbandono con cui quella volta aveva aiutato Kate a costruire
              il castello, sarebbe stato un uomo felice e straordinariamente
              potente".
              
              
              Sì,
              felice. Si ha bisogno però di molto coraggio per affrontare il
              tutto con quella intensità e quell'abbandono. E ci vorrebbe forse
              sempre una Kate, la quale "aveva
              
               detto
              sul serio", giacché i bambini sono persone serie, e sanno
              riconoscere l'essenza di bisogno del desiderio, e pur ben
              conoscendo gli elevati costi di quella intensità sono ben pronti
              a spendersi, avendo essi un'anima. Noi "grandi" invece,
              che anziché un'anima abbiamo un ruolo un conto in banca una
              posizione e quindi sappiamo calcolare e risparmiare, forti dei
              fragili alibi di orologi e impegni, ruzzoliamo per le scorciatoie
              delle lande rassicuranti di Superficie e Apparenza senza
              accorgerci di annaspare nel baratro dove ragione e disincanto sono
              stati soppiantati da meschinità e menzogna.
              
              
              Sì,
              ci vorrebbe sempre una Kate per potere affrontare davvero e fino
              in fondo l'intensa incondizionata serietà del giocare. "Ci
              vorrebbe"? Espressione ipocrita, giacché sappiamo tutti
              benissimo che
              
               le
              Kate esistono, e abitano nelle nostre case, in tutte le nostre
              case. Ma anche là dove non esista alcuna Kate è possibile
              accedere a quella intensità e a quell'abbandono, a quelle
              premesse di felicità. È possibile farlo in svariati
              
               modi, ma uno dei più accessibili a
              me sembra quello di servirsi di qualche "giocattolo per
              grandi". Mi riferisco a oggetti precisi, non già a entità
              generiche: essi sono quelli cui si riferiva Francesca Lazzarato in
              un articolo comparso su "il manifesto" del 4 dicembre
              1997, cioè a quei non pochi libri per i piccoli che col tempo
              sono divenuti "giocattoli adatti soprattutto ai grandi".
              Il che non significa estraneità ai piccoli, bensì valore
              aggiunto, semplicemente. Francesca Lazzarato si riferiva alle
              incantevoli poesie di A Child's Garden of Verses,
              pubblicate nel 1885 da Robert Louis Stevenson e ora tradotte in
              italiano da Roberto Mussapi per Feltrinelli con il titolo Il
              mio letto è una nave (ma sarebbe stato opportuno dire che,
              nella sua bella e utile e ampia introduzione, Mussapi riproduce in
              gran parte anche alla lettera quel che aveva scritto in un suo
              libro che non si trova più: Tusitala. Verso l'isola del tesoro,
              Leonardo, 1990).
              
              
              Questo
              libro è uno strano e felice miracolo. In esso Stevenson agisce su
              due piani assolutamente amalgamati e sfumati. Vi convivono
              infatti, in piena armonia, il protagonista bambino che dà corpo
              ai sogni e anima il mondo del proprio sentire immaginare dire
              evocare e l'adulto che guarda ad un tempo tanto inequivocabilmente
              perduto quanto vivificante e vivo, presente.
              
              
              L'infanzia
              è qui un'isola di tesori le cui acque sono esse stesse isola e
              tesoro, confine invalicabile e legame imprescindibile. L'infanzia
              è qui il tempo delle domande e dell'apertura, il tempo in cui le
              risposte importano in quanto implicanti domande ulteriori, il
              tempo in cui
              
               la ricerca del tesoro è il tesoro
              stesso. E la compresenza dei due piani è la riprova di una
              concezione dell'infanzia come di un tempo non già da idealizzare
              bensì da preservare per la forza del suo sentire, come di un
              tempo non già da superare bensì da sviluppare, da crescere, da
              portare con sé nel cammina cammina, da portare con sé lungo i
              tortuosi e insidiosi e dolorosi e felici versanti del vivere.
              
              
              Che
              poi questo incantevole "giocattolo per grandi" possa
              essere divenuto poco adatto o poco apprezzabile, oggi, dai
              piccoli, è tutto da dimostrare - e a mio parere è vero piuttosto
              il contrario. Queste poesie percorrono poco un
              
               tempo
              storico e moltissimo numerose costanti dell'immaginario; ogni
              bambino è un ricominciare da capo; la lingua determina la
              leggerezza della profondità. Quel che conta - anch'esso da
              dimostrare, beninteso - è come e quanto noi "grandi"
              sappiamo affrontare l'intensità e l'abbandono a cui questi
              "grandi incanti" ci chiamano e quale Valle dell'eco
              sappiamo costituirne. Quel che conta è che non si usino i
              "giocattoli per grandi" in solitudine, nemmeno nella
              solitudine d'oro dell'adorazione di Stevenson (o di Tolstòj: è
              appena uscito negli Oscar Mondadori, a cura di Igor Sibaldi, un
              altro "giocattolo" dello stesso tipo, I quattro libri
              russi di lettura e altri racconti, che contiene quella meravi
              
              glia
              che è Il prigioniero del Caucaso). Quel che conta è che,
              ovviamente senza mentalità coloniale, non si dimentichi che fa
              parte dell'amare anche l'offrire ai propri figli e allievi e amici
              di età verde o verdissima quello che non hanno mai potuto sapere
              di volere.