L'isola di Tusitala e i tesori delle carmelitane

rubrica Leggere negli anni verdi

école ottobre 2000

                                                                                                           

Riassunto della puntata precedente. In una tavola rotonda pubblicata su "Liber" e intitolata Cosa conservare sugli scaffali della biblioteca del Duemila? Classici che non hanno perso il loro smalto e libri contemporanei che saranno letti per molto tempo ancora, quattro moschettieri di comprovato valore negli studi riguardanti la cosiddetta letteratura per l'infanzia hanno parlato di libri importanti ma non hanno citato L'isola del tesoro. Il titolare della presente rubrica, di molto risentito, ha sfidato i quattro a fornire giustificazioni adeguate alla enormità del caso, convocandoli per l'indomani dietro il convento delle Carmelitane.

 

L'isola del tesoro è un capolavoro assoluto

Quando si parla a braccio, senza schemi prefissati (e senza poter controllare quanto la coordinatrice della Tavola Rotonda ricava dalla trascrizione del nastro inciso dal magnetofono) e trascinati dagli interventi degli amici presenti, può accadere di dimenticare di citare argomenti di decisivo rilievo. Così mi è accaduto per Robert Louis Stevenson, che resta un caposaldo della narrativa dell'Ottocento non soltanto per i libri scritti per adulti ma soprattutto per L'isola del tesoro, che non può essere considerato soltanto un libro per ragazzi ma in assoluto un capolavoro, un romanzo fra quelli che hanno determinato la struttura della narrativa di tutto un secolo. Faccio ammenda pubblica di que sta terribile trascuratezza, approfittandone per far notare che nella tavola rotonda che "Liber" ha cortesemente ospitato si possono criticare certe disfasie per i tempi dedicati ad argomenti importanti e la scarsità di spazio lasciata ad argomenti altrettanto importanti. Per esempio: si è parlato a lungo della "Scala d'oro" e della "Biblioteca dei miei ragazzi", mentre Kipling è stato ricordato di sfuggita e Salgari non sufficientemente approfondito. Ma nessuno dei presenti - ne sono convinto - aveva intenzione di esaurire in una discussione orale temi, testi e autori della letteratura per bambini e ragazzi. Invece credo che sia tempo che qualche studioso affronti un argomento fondamentale che riguarda il tema di cui ci occupiamo: perché alle già scarse "Storie della letteratura per l'infanzia" non si propone una "Storia sociale della letteratura per l'infanzia"? Ritengo infatti che sia di grande e urgente interesse approfondire come sia stato usato Cuore quale esempio comportamentale rispetto ai suoi meriti letterari; o perché nel Convegno del 1938, presieduto da Marinetti, si sia volutamente dimenticato Salgari; o, anche, perché gli adulti di oggi si siano tanto eccitati per la Gabbianella di Sepùlveda. l'elenco è lungo e potrebbe continuare, ma mi auguro che questi tre esempi risultino sufficientemente chiari.

 

P.S. Va bene il duello (se non lo si fa per una ragione così valida, quando mai sarebbe da farsi?) ma è necessario specificare esattamente dietro quale Convento si debba svolgere. Dumas era più preciso: le Carmelitane erano quelle scalze. Adesso, dopo Bernanos, possono sorgere alcuni dubbi.

ROBERTO DENTI

 

L'isola del tesoro, un libro da portare sull'isola deserta

Accolgo il guanto della sfida, a patto che sia io a scegliere l'arma del duello: un ombrello, per ripararmi dagli spruzzi d'acqua sollevati dall'ira di Pontremoli per la mancata menzione dell'Isola del tesoro tra i classici da portare nel Duemila. Eppure, ben si sa, lo so anch'io, che secondo lo scrittore scozzese un libro serve per spedire a letto un bambino con qualche seducente immagine da infilare nei sogni. Proprio da questa "seducente" pedagogia del leggere partirei per indicare la strada della lettura come una "scala d'oro" che da Piccoli brividi fino all'Isola del tesoro sale su su di gradino in gradino, dai libri con i buchi alle filastrocche di Rodari, dalle fiabe alle prime letture (prendo dalla mia "piletta" di libri, raccoman dandoli, i più recenti Pirati del "Battello a vapore": Abbaia, George di Feiffer, Presto, presto, Nina cara, La piccola peste e Madeline, ma quest'ultimo è pubblicato nella Serie Bianca), da Lavinia ad Ascolta il mio cuore, da Le streghe a Il bambino sotto vuoto, a Vampiretto, La stanza 13 e La società dei gatti assassini, Eva e la figlia della luna, Buchi nel deserto, Dakota delle Bianche Dimore e L'isola in via degli Uccelli, Diario di Anna Frank e Marcovaldo e, infine, lassù, in cima in cima, L'isola del tesoro. A questo punto il lettore è formato.   Del resto, non diversa da una scala d'oro di libri è quella di cui si serve la protagonista di Una volta, in una casa in fiamme di Andrea Ashworth (Feltrinelli), autobiografia piena di dolore e di pudore che racconta come la scuola possa essere strumento di conquista e liberazione, la più vecchia e autentica via d'uscita dalle rovine del degrado materiale e morale, intellettuale e sociale. Andrea, che grazie ai suoi voti alti viene ammessa al liceo e poi all'università, legge incontinentemente e appassionatamente, eppure gradualmente e progressivamente secondo l'età: le favole, le storie di Enid Blyton, Il giardino segreto, le cronache di Narnia, James e lo pesca gigante, il Diario di Anna Frank, romanzetti rosa e horror, Carrie e tutto Stephen King, Cime tempestose e Figli e amanti, James, Greene, Eliot e le poesie di Dylan Thomas e Sylvia Plath. Ma nemmeno lei parla di Stevenson. È un programma di educazione alla lettura che si inerpica sopra una tassonomica scala d'oro che potrebbe insegnare molto a non pochi insegnanti in carne e ossa. Anche qui sembra mancare l'isola di Jim e Long John Silver, "la storia più bella che mi abbiano mai raccontato" secondo Savater (e anche secondo me, che tento disperatamente di difendermi con l'ombrello). Sembra mancare, ma in realtà quel libro garantisce la solidità e la stessa esistenza della scala, agganciandola a valori fondanti quali "l'amicizia, la curiosità, l'apertura mentale". Non a caso Antonio Faeti a domanda risponde che L'isola del tesoro è il libro che porterebbe su un'isola deserta ("Sette", 1.6.2000).

FERNANDO ROTONDO

 

L'isola del tesoro, un classico irrinunciabile

Caro Pontremoli,

ricevuto il tuo invito sono, per prima cosa, andato a recuperare I tre moschettieri". (L'edizione che preferisco, quella magnificamente e doviziosamente illustrata da Gustavino per Rizzoli nel 1935). "Ma le due lame avevano appena risuonato toccandosi, che una squadra di guardie di Sua Eminenza, al comando del signor di Jussac, spuntò all'angolo del convento. - Le guardie del cardinale, esclamarono ad una voce Porthos e Aramis. - Nel fodero le spade, signori, nel fodero le spade! Ma era troppo tardi. I duellanti erano stati veduti in una posa che non lasciava alcun dubbio sulle loro intenzioni. - Olà, - gridò Jussac venendo avanti e facendo segno ai suoi uomini di fare altrettanto, - olà, moschettieri, ci si batte dunque, qui? E degli editti, che ne facciamo?"

Ecco - tralasciando il seguito dell'episodio - ci hai colto sul fatto. Non val neppure la pena di

incrociare le lame, a differenza dei moschettieri veri ci arrendiamo senza combattere. L'isola del tesoro non c'è. Gravissimo. Considerando, poi, che anche per me si tratta di un irrinunciabile classico (e volutamente non aggiungo per l'infanzia). Uno di quei romanzi sui quali più e più volte ritornare. Se poi si pensa che è stato illustrato da artisti quali Battaglia, Pratt, Gustavino, Nicco, Pyle... Non ne abbiamo parlato? Può essere. Devo dire che l'aspetto più piacevole della nostra tavola rotonda è stato proprio il divagare, il chiacchierare, il ricordare, il collegare libri e autori nell'arco di una mattinata. Ancora non capisco come Luisella Seveso sia riuscita (e con grande bravura e sensibilità) a trovare un filo rosso, una coerenza in tutto il nostro parlare. In effetti una cosa manca, e me ne rendo conto adesso grazie alla tua giusta osservazione: sarebbe stato assai utile completare la tavola rotonda con una sorta di "lista" dei classici. Perché non pensarci adesso?

WALTER FOCHESATO

 

Una dichiarazione d'amore per L'isola del tesoro

Caro Giuseppe,

davvero imperdonabile sarebbe stata l'omissione de L'isola del tesoro se il nostro dibattito fosse stato sui classici in generale. Ma la nostra attenzione era sui classici italiani, sia pure con inevitabili incursioni nel panorama straniero. Approfitto però dell'occasione per farti una dichiarazione d'amore verso L'isola del tesoro, scritta dal più grande narratore di storie, Stevenson, ossia Tusitala, il mago che racconta e che ci trascina in una splendida visione del mondo attraverso gli occhi di un bambino. Esploratore coinvolgente e grande interprete del dedalo morale in cui era sprofondato il XIX secolo, Stevenson con il dottor Jekyll sfidò l'ipocrisia, con il pirata Long John Silver il pregiudizio. Il fascino che L'isola del tesoro ha esercitato su tante generazioni è in gran parte affidato, credo, allo sguardo di Jim: il romanzo è, infatti, la re gistrazione fedele di ciò che vedono i suoi occhi. Sono occhi che tutto vedono e tutto sentono, occhi puntati sull'astuto sanguinario Long John Silver, con cui Jim stringe misteriose e potenti alleanze. Come il Falstaff di Shakespeare, Silver è ormai diventato un personaggio letterario universale. L'autore del dottor Jekyll e Mr.Hyde, la grande tragedia moderna che articola il dialogo dell'Io con il suo doppio, ci mette a contatto ne L'isola del tesoro con un'altra figura di doppio che allude a uno stretto legame tra infanzia e pirateria, incarnata proprio dal gigante storpio Silver. All'infanzia dell'epoca vittoriana attraversata da controlli e da ricatti Stevenson offriva attraverso Silver - potente raffigurazione della trasgressione e della de risione dei divieti - gli emblemi liberanti di una stagione di sogno ormai svanita. Mentre la ricerca dell'isola, dei tesori che essa racchiude, l'attrazione che essa esercita, la promessa di avventura che ogni impresa ad essa collegata suscita, tutto questo continua ad avere un posto davvero privilegiato nel cammino di avvicinamento all'età adulta.

Un abbraccio

EMY BESEGHI

Amicizie rinforzate

Quando si sfida qualcuno, soprattutto se dietro il convento delle Carmelitane, quel che si chiede è soddisfazione. Emy Beseghi, Roberto Denti, Walter Fochesato e Fernando Rotondo si sono presentati puntualmente e oggi, qui, l'esposizione delle loro ragioni risuona come omaggio al grande Stevenson. Una moltiplicazione di omaggio, un'eco sorridente e luminosa, la corsa di cerchi concentrici tra i flutti abracadabranteschi del mare delle storie che cantano la gloria di Tusitala. Soddisfazione, sì. E soddisfazione sia per l'omaggio a Tusitala sia per le amicizie che dalla prova escono non soltanto salvate ma persino rinforzate. Tutte e quattro le amicizie ne risultano rinforzate, e davvero non saprei dire quale lo sia in misura maggiore: nutro infatti forti debolezze per ognuna di esse, e da ognuna di esse potrei prendere spunto per un'ennesima salmodia. Vorrei però approfittare almeno del post scriptum di Roberto Denti per accennare una cosa cui tengo molto. Roberto dice che bisognerebbe essere un po' più precisi circa le Carmelitane. Sono d'ac cordo, e mi piacerebbe. Però - e proprio pensando a Stevenson, e al suo grande libro, e alla sua scrittura - altrettanto mi piace, o mi è inevitabile, abbandonarmi a una sorta di bulimia carmelitana: voglio Dumas e voglio Bernanos. Soprattutto, oltre loro - e le rispettive Carmelitane, e non solo voglio le Carmelitane delle montagne del Portogallo di Karen Blixen, quelle che abitano nel suo bellissimo La pagina bianca (in Ultimi racconti, Adelphi), perché "dove il narratore è fedele, eternamente, inflessibilmente fedele alla sua storia, là, alla fine, parlerà il silenzio. Dove la storia è stata tradita, il silenzio non è che vuoto. Ma noi, i fedeli, subito dopo aver pronunciato l'ultima parola, udremo la voce del silenzio". Stevenson è inflessibilmente fedele alla sua storia; con Stevenson il silenzio canta. Anche con Karen Blixen canta; e canta con quello che io ritengo L'isola del tesoro del Novecento, Ci sono bambini a zig zag (Mondadori) di David Grossman.