Riassunto
              della puntata precedente. In una tavola rotonda pubblicata su
              "Liber" e intitolata Cosa conservare sugli scaffali
              della biblioteca del Duemila? Classici che non hanno perso il loro
              smalto e libri contemporanei che saranno letti per molto tempo
              ancora, quattro moschettieri di comprovato valore negli studi
              riguardanti la cosiddetta letteratura per l'infanzia hanno parlato
              di libri importanti ma non hanno citato L'isola del tesoro. Il
              titolare della presente rubrica, di molto risentito, ha sfidato i
              quattro a fornire giustificazioni adeguate alla enormità del
              caso, convocandoli per l'indomani dietro il convento delle
              Carmelitane.
              
              
               
              
              
              L'isola
              del tesoro è un capolavoro assoluto
              
              
              Quando
              si parla a braccio, senza schemi prefissati (e senza poter
              controllare quanto la coordinatrice della Tavola Rotonda ricava
              dalla trascrizione del nastro inciso dal magnetofono) e trascinati
              dagli interventi degli amici presenti, può accadere di
              dimenticare di citare argomenti di decisivo rilievo. Così mi è
              accaduto per Robert Louis Stevenson, che resta un caposaldo della
              narrativa dell'Ottocento non soltanto per i libri scritti per
              adulti ma soprattutto per L'isola del tesoro, che non può
              essere considerato soltanto un libro per ragazzi ma in assoluto un
              capolavoro, un romanzo fra quelli che hanno determinato la
              struttura della narrativa di tutto un secolo.
              
               Faccio
              ammenda pubblica di que
              
              sta
              terribile trascuratezza, approfittandone per far notare che nella
              tavola rotonda che "Liber" ha cortesemente ospitato si
              possono criticare certe disfasie per i tempi dedicati ad argomenti
              importanti e la scarsità di spazio lasciata ad argomenti
              altrettanto importanti. Per esempio: si è parlato a lungo della
              "Scala d'oro" e della "Biblioteca dei
              miei ragazzi", mentre Kipling è stato ricordato di
              sfuggita e Salgari non sufficientemente approfondito.
              
               Ma
              nessuno dei presenti - ne
              
               sono
              convinto - aveva intenzione di esaurire in una discussione orale
              temi, testi e autori della letteratura per bambini e ragazzi.
              Invece credo che sia tempo che qualche studioso affronti un
              argomento fondamentale che riguarda il tema di cui ci occupiamo:
              perché alle già scarse "Storie della letteratura per
              l'infanzia" non si propone una "Storia sociale della
              letteratura per l'infanzia"? Ritengo infatti che sia di
              grande e urgente interesse approfondire come sia stato usato Cuore
              quale esempio comportamentale rispetto ai suoi meriti letterari; o
              perché nel Convegno del 1938, presieduto da Marinetti, si sia
              volutamente dimenticato Salgari; o, anche, perché gli adulti di
              oggi si siano tanto eccitati per la Gabbianella di Sepùlveda.
              l'elenco è lungo e potrebbe continuare, ma mi auguro che questi
              tre esempi risultino sufficientemente chiari.
              
              
               
              
              
              P.S.
              Va bene il duello (se non lo si fa per una ragione così valida,
              quando mai sarebbe da farsi?) ma
              
              è necessario specificare esattamente dietro quale Convento si
              debba svolgere. Dumas era più preciso: le Carmelitane erano
              quelle scalze. Adesso, dopo Bernanos, possono sorgere alcuni
              dubbi.
              
              
              ROBERTO
              DENTI
              
              
               
              
              
              L'isola
              del tesoro, un libro da portare sull'isola deserta
              
              
              Accolgo
              il guanto della sfida, a patto che sia io a scegliere l'arma del
              duello: un ombrello, per ripararmi dagli spruzzi d'acqua sollevati
              dall'ira di Pontremoli per la mancata menzione dell'Isola del
              tesoro tra i classici da portare nel Duemila. Eppure, ben si
              sa, lo so anch'io, che secondo lo scrittore scozzese un libro
              serve per spedire a letto un bambino con qualche seducente
              immagine da infilare nei sogni. Proprio da questa
              "seducente" pedagogia del leggere partirei per indicare
              la strada della lettura come una "scala d'oro" che da
              Piccoli brividi fino all'Isola del tesoro sale su su di
              gradino in gradino, dai libri con i buchi alle filastrocche di
              Rodari, dalle fiabe alle prime letture (prendo dalla mia
              "piletta" di libri, raccoman
              
              dandoli, i più recenti Pirati del "Battello a vapore": Abbaia,
              George di Feiffer, Presto, presto, Nina cara, La
              piccola peste e Madeline, ma quest'ultimo è pubblicato nella
              Serie Bianca), da Lavinia ad Ascolta il mio cuore,
              da Le streghe a Il bambino sotto vuoto, a Vampiretto,
              La stanza 13 e La società dei gatti assassini, Eva
              e la figlia della luna, Buchi nel deserto, Dakota
              delle Bianche Dimore e L'isola in via degli Uccelli, Diario
              di Anna
              
              Frank e Marcovaldo e, infine, lassù, in cima in
              cima, L'isola del tesoro. A questo punto il lettore è
              formato.
              
                Del
              resto, non diversa da una scala d'oro di libri è quella di cui si
              serve la protagonista di Una volta, in una casa in fiamme
              di Andrea Ashworth (Feltrinelli), autobiografia piena di dolore e
              di pudore che racconta come la scuola possa essere strumento di
              conquista e liberazione, la più vecchia e autentica via d'uscita
              dalle rovine del degrado materiale e morale, intellettuale e
              sociale. Andrea, che grazie ai suoi voti alti viene ammessa al
              liceo e poi all'università, legge incontinentemente e
              appassionatamente, eppure gradualmente e progressivamente secondo
              l'età: le favole, le storie di Enid Blyton, Il giardino segreto,
              le cronache di Narnia, James e lo pesca gigante, il Diario
              di Anna Frank, romanzetti rosa e horror, Carrie e tutto
              Stephen King, Cime tempestose e Figli e amanti,
              James, Greene, Eliot e le poesie di Dylan Thomas e Sylvia Plath.
              Ma
              
               nemmeno
              lei parla di Stevenson. È un programma di educazione alla lettura
              che si inerpica sopra una tassonomica scala d'oro che potrebbe
              insegnare molto a non pochi insegnanti in carne e ossa. Anche qui
              sembra mancare l'isola di Jim e Long John Silver, "la storia
              più bella che mi abbiano mai raccontato" secondo Savater (e
              anche secondo me, che tento disperatamente di difendermi con
              l'ombrello). Sembra mancare, ma in realtà quel libro garantisce
              la solidità e la stessa esistenza della scala, agganciandola a
              valori fondanti quali "l'amicizia, la curiosità, l'apertura
              mentale". Non a caso Antonio Faeti a domanda risponde che L'isola
              del tesoro è il libro che porterebbe su un'isola deserta
              ("Sette", 1.6.2000).
              
              
              FERNANDO
              ROTONDO
              
              
               
              
              
              L'isola
              del tesoro, un classico irrinunciabile
              
              
              Caro
              Pontremoli,
              
              
              ricevuto
              il tuo invito sono, per prima cosa, andato a recuperare I tre
              moschettieri". (L'edizione che preferisco, quella
              magnificamente e doviziosamente illustrata da
              
              Gustavino
              per Rizzoli nel 1935). "Ma le due lame avevano appena
              risuonato toccandosi, che una squadra di guardie di Sua Eminenza,
              al comando del signor di Jussac, spuntò all'angolo del convento.
              
               -
              Le guardie del cardinale, esclamarono ad una voce Porthos
              
               e
              Aramis. - Nel fodero le spade, signori, nel fodero le spade!
              
               Ma
              era troppo tardi. I duellanti erano stati veduti in una posa che
              non lasciava alcun dubbio sulle loro intenzioni.
              
               -
              Olà, - gridò Jussac venendo avanti e facendo segno ai suoi
              uomini di fare altrettanto, - olà, moschettieri, ci si batte
              dunque, qui? E degli editti, che ne facciamo?"
              
              
              Ecco
              - tralasciando il seguito dell'episodio - ci hai colto sul fatto.
              Non val neppure la pena di
              
              
              incrociare
              le lame, a differenza dei moschettieri veri ci arrendiamo senza
              combattere.
              
               L'isola
              del tesoro non c'è.
              
               Gravissimo.
              Considerando, poi, che anche per me si tratta di un irrinunciabile
              classico (e volutamente non aggiungo per l'infanzia). Uno di quei
              romanzi sui quali più e più volte ritornare. Se poi si pensa che
              è stato illustrato da artisti quali Battaglia, Pratt, Gustavino,
              Nicco, Pyle...
              
               Non
              ne abbiamo parlato? Può essere. Devo dire che l'aspetto più
              piacevole della nostra tavola rotonda è stato proprio il
              divagare, il chiacchierare, il ricordare, il collegare libri e
              autori nell'arco di una mattinata. Ancora non capisco come
              Luisella Seveso sia riuscita (e con grande bravura e sensibilità)
              a trovare un filo rosso, una coerenza in tutto il nostro parlare.
              
               In
              effetti una cosa manca, e me ne rendo conto adesso grazie alla tua
              giusta osservazione: sarebbe stato assai utile completare la
              tavola rotonda con una sorta di "lista" dei classici.
              Perché non
              
               pensarci
              adesso? 
              WALTER
              FOCHESATO
              
              
               
              
              
              Una
              dichiarazione d'amore per L'isola del tesoro
              
              
              Caro
              Giuseppe,
              
              
              davvero
              imperdonabile sarebbe
              
              stata
              l'omissione de L'isola del tesoro se il nostro dibattito fosse
              stato sui classici in generale. Ma la nostra attenzione era sui
              classici italiani, sia pure con inevitabili incursioni nel
              panorama straniero. Approfitto però dell'occasione per farti una
              dichiarazione d'amore verso L'isola del tesoro, scritta dal
              più grande narratore di storie, Stevenson, ossia Tusitala, il
              mago che racconta e che ci trascina in una splendida visione del
              mondo attraverso gli occhi di un bambino. Esploratore coinvolgente
              e grande interprete del dedalo morale in cui era sprofondato il
              XIX secolo, Stevenson con il dottor Jekyll sfidò l'ipocrisia, con
              il pirata Long John Silver il pregiudizio. Il fascino che L'isola
              del tesoro ha esercitato su tante generazioni è in gran parte
              affidato, credo, allo sguardo di Jim: il romanzo è, infatti, la
              re
              
              gistrazione fedele di ciò che vedono i suoi occhi. Sono occhi che
              tutto vedono e tutto sentono, occhi puntati sull'astuto
              sanguinario Long John Silver, con cui Jim stringe misteriose e
              potenti alleanze. Come il Falstaff di Shakespeare, Silver è ormai
              diventato un personaggio letterario universale.
              
               L'autore
              del dottor Jekyll e Mr.Hyde, la grande tragedia moderna che
              articola il dialogo dell'Io con il suo doppio, ci mette a contatto
              ne L'isola del tesoro con un'altra figura di doppio che
              allude a uno stretto legame tra infanzia e pirateria, incarnata
              proprio dal gigante storpio Silver. All'infanzia dell'epoca
              vittoriana attraversata da controlli e da ricatti Stevenson
              offriva attraverso Silver - potente raffigurazione della
              trasgressione e della de
              
              risione dei divieti - gli emblemi liberanti di una stagione di
              sogno ormai svanita. Mentre la ricerca dell'isola, dei tesori che
              essa racchiude, l'attrazione che essa esercita, la promessa di
              avventura che ogni impresa ad essa collegata suscita, tutto questo
              continua ad avere un posto davvero privilegiato nel cammino di
              avvicinamento all'età adulta.
              
              
              Un
              abbraccio 
              EMY
              BESEGHI
              
              
              Amicizie
              rinforzate
              
              
              Quando
              si sfida qualcuno, soprattutto se dietro il convento delle
              Carmelitane, quel che si chiede è soddisfazione. Emy Beseghi,
              Roberto Denti, Walter Fochesato e Fernando Rotondo si sono
              presentati puntualmente e oggi, qui, l'esposizione delle loro
              ragioni risuona come omaggio al grande Stevenson. Una
              moltiplicazione di omaggio, un'eco sorridente e luminosa, la corsa
              di cerchi concentrici tra i flutti abracadabranteschi del mare
              delle storie che cantano la gloria di Tusitala. Soddisfazione,
              sì. E soddisfazione sia per l'omaggio a Tusitala sia per le
              amicizie che dalla prova escono non soltanto salvate ma persino
              rinforzate. Tutte e quattro le amicizie ne risultano rinforzate, e
              davvero non saprei dire quale lo sia in misura maggiore: nutro
              infatti forti debolezze per ognuna di esse, e da ognuna di esse
              potrei prendere spunto per un'ennesima salmodia. Vorrei però
              approfittare almeno del post scriptum di Roberto Denti per
              accennare una cosa cui tengo molto. Roberto dice che bisognerebbe
              essere un po' più precisi circa le Carmelitane. Sono d'ac
              
              cordo, e mi piacerebbe. Però - e proprio pensando a Stevenson, e
              al suo grande libro, e alla sua scrittura - altrettanto mi piace,
              o mi è inevitabile, abbandonarmi a una sorta di bulimia
              carmelitana: voglio Dumas e voglio Bernanos. Soprattutto, oltre
              loro - e le rispettive Carmelitane, e non solo 
              
              voglio le Carmelitane delle montagne del Portogallo di Karen
              Blixen, quelle che abitano nel suo bellissimo La pagina bianca
              (in Ultimi racconti, Adelphi), perché "dove il
              narratore è fedele, eternamente, inflessibilmente fedele alla sua
              storia, là, alla fine, parlerà il silenzio. Dove la storia è
              stata tradita, il silenzio non è che vuoto. Ma noi, i fedeli,
              subito dopo aver pronunciato l'ultima parola, udremo la voce del
              silenzio". Stevenson è inflessibilmente fedele alla sua
              storia; con Stevenson il silenzio canta. Anche con Karen Blixen
              canta; e canta con quello che io ritengo L'isola del tesoro
              del Novecento, Ci sono bambini a zig zag (Mondadori) di
              David Grossman.