Faulkner ai bambini

rubrica Leggere negli anni verdi

école settembre 1997

                                                                                                           

Il 25 settembre ricorre il centesimo anniversario della nascita di William Faulkner, scrittore da me amato in misura che sfiora da molto vicino l'adorazione.

Ma è possibile parlare di Faulkner, della sua scrittura aspra labirintica lussureggiante caleidoscopica, in una rubrica che si occupa di libri e ragazzi? La mia risposta - quantomai interessata- è sì; e fors'anche: qui più che altrove. E, anzi, sarebbe un poco stupido e di molto colpevole non farlo.

Il fatto è che la denominazione di questa rubrica contiene una preposizione - "negli" - di

preziosa primaria importanza. "Leggere negli anni verdi" significa infatti almeno due cose: leggere nel tempo degli anni verdi, le letture di quando si è giovani, ragazzi, bambini; ma anche leggere dentro gli anni verdi, scrutare quel tempo.

A non avere nulla a che fare con questa rubrica sono quindi soltanto quei narratori biasimati da Anna Maria Ortese ne Il cardillo addolorato: «È consuetudine di molti narratori di storie intese a trattenere facili lettori su vicende di adulti, è superficiale consuetudine, riferendo di scene, dialoghi e possibili pensieri in corso tra costoro, trattare della eventuale presenza, in dette scene, di un piccino, come di un elemento assolutamente privo di interesse, quando non del tutto casuale. Ma la consuetudine non è sempre giusta, e non lo è in questo caso, dato che non sempre i fanciulli presenti in dette scene ne recepiscono i particolari (spesso insani e turbolenti!) con quella ilare indifferenza che tutta una convenzione sulla sanità e felicità dei fanciulli a detti narratori impone. Né sani né felici sono, a nostro giudizio, nella loro massima parte, i fanciulli, né protetti da sentimenti elementari. Con orecchie dappertutto, essi spiano, dalle loro seggioline, e perfino da sotto i tavoli, lo svolgersi delle scene di questo gran mondo. E non poco essi interferiscono sui suoi misteri e sulle passioni dei principali protagonisti di tali misteri».

Quanto denunciato da Anna Maria Ortese non riguarda certo Faulkner, il quale ha invece sempre considerato di grande interesse e importanza la presenza dei bambini nelle vicende da lui narrate, registrandone con meticolosa cura i gesti e le voci, assumendone spesso il punto di vista, e a volte - come, per esempio, nel cupo e disperante Santuario - attribuendo loro, se non proprio una funzione salvifica, perlomeno una connotazione di apertura e di luce nel violento e nel torbido di questo gran mondo.

A me qui preme ricordare soprattutto i bambini e i ragazzi de L'urlo e il furore, di Assalonne, Assalonne!, di Luce d'agosto, de Il borgo, de Il sole di quella sera e di molti altri racconti, ma ancor più in particolare Ike McCaslin, il ragazzo che viene iniziato ai riti della caccia e alla vita della foresta in due prodigiosi racconti (Gente di un tempo e L'orso) contenuti in Scendi, Mosè.

Ma Faulkner ha anche scritto almeno una storia proprio per i bambini. Si tratta di L'albero dei desideri, composto nel 1927 per una bambina, Victoria, figlia di Estelle Oldham Franklin, che due anni dopo diverrà sua moglie.

Una mattina Dulcie si sveglia e si sente dire che è il suo compleanno da uno strano ragazzino sconosciuto «dai capelli tanto rossi che gettavano luce tutto intorno» e con gli occhi che «avevano dentro strane pagliuzze d'oro, come faville». Dulcie guarda verso la finestra e vede pioggia e alberi tetri. Se ne rattrista, perché vorrebbe per il compleanno una giornata ben diversa. Il ragazzino però apre la finestra e Dulcie vede che non sta piovendo e c'è invece una nebbiolina tiepida e profumata di glicine dalla quale arrivano voci che la invitano a scendere. Il ragazzino le spiega che quel che sta succedendo è provocato dal fatto che «la sera prima del compleanno, se vai a letto mettendo sotto le coperte il piede sinistro per primo e se volti il cuscino prima di addormentarti, può succederti qualsiasi cosa», poi da una sacca estrae una minuscola scala sulla quale comincia a soffiare fino a farle assumere dimensioni che permettano loro di scendere dalla finestra e raggiungere due amici di Dulcie e la balia nera Alice. Con quattro cavallini e un calesse partono alla ricerca dell'Albero dei Desideri, e tutto intorno ci sono erbe e alberi verdi come d'estate, fiori azzurri e gialli, uccelli che cantano e volano e il sole splendente. Sulla soglia di una casetta grigia c'è un vecchio con una lunga barba che si offre per accompagnarli all' Albero dei Desideri, che sostiene di conoscere benissimo. Vinta la diffidenza della saggia Alice, ripartono. Arrivati a uno strano albero dalle foglie bianche scoprono che staccandole esse assumono diversi colori e che al solo pronunciarne il nome quel che si è desiderato compare. La comparsa delle cose desiderate provoca qualche inconveniente, ma provoca anche la ricomparsa del marito di Alice, scomparso in guerra, e questo consente al racconto di connotarsi di un ulteriore motivo in Faulkner ricorrente: la guerra. E nei battibecchi tra Alice e il marito (che si chiama Exodus, nome faulknerianamente biblico) e tra quest'ultimo e il vecchietto si sviluppano particolarmente il parlato "basso" e i discorsi da reduci, saggezze e millanterie, temi e stilemi che tanta parte avranno nel Faulkner maggiore. Dopo varie vicissitudini arrivano in una vallata profumata, e qui vedono un albero coperto di foglie di tanti colori. In realtà queste foglie sono uccelli e l'albero è un vecchio alto e forte e mite, dallo sguardo sereno, è San Francesco. E questi propone loro di prendersi cura ciascuno di un uccello, anziché prendere le foglie dell'Albero dei Desideri: propone cioè di dedicarsi non già a desideri limitati ed escludenti altri, bensì alla ricerca di una diversa armonia tra i viventi. Dedicandosi a chi è indifeso non c'è bisogno di un Albero dei Desideri, perché i desideri si avverino.

Riprendono il camino e arrivano a un fiume con l'acqua profumata di glicine. Ma forse non è un fiume, forse è una strada, o un muro, o forse la nebbia, o le acque del sonno. E Dulcie si sveglia e si sente chiamare e augurare buon compleanno. E' sua madre, che le porge una gabbia di vimini con un uccellino azzurro..

E' un racconto molto semplice, l'Albero dei Desideri, ben lontano dalle complesse architetture di Faulkner maggiore, ma è importante leggerlo, e può essere anche interessante cercarvi gli echi delle altre sue prodigiose narrazioni. Nel 1980, tradotto da Rosella Mamoli Zorzi, venne pubblicato dalla Emme nella bella ma sfortunata collana "Il Mangiafuoco".

Sarebbe tempo di riproporlo, anche per darsi un pretesto per annunciare ai bambini che l'autore di questa bella storia ne ha scritte altre che, se vorranno vivere davvero, da grandi dovranno leggere. _ E noi, "grandi", potremmo leggerla accanto al poetico e straziante dire di Benjy ne L'urlo e il furore, accanto alla commovente bellezza de L'orso, accanto alla terribile verità di Assalonne, Assalonne! (<"Lasciate che i pargoli vengano a Me": e che cosa voleva dire Lui con questo? Perché, se Lui intendeva che i pargoli avevano bisogno di essere lasciati andare a Lui, che razza di terra aveva Egli creato?; ché se essi dovevano soffrire per andare a Lui, che razza di cielo aveva Egli mai?»), a ulteriore testimonianza di quanto dialettico e articolato sia l'immenso Faulkner.