Vittime della guerra

rubrica Leggere negli anni verdi

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Buongiorno. La presente puntata della presente rubrica è presentemente chiusa. (E io sono una vittima della guerra, come diceva anche Peter Bichsel.) Ma la rubrica, come qualche anima bella potrebbe pensare (e pur essendo io una vittima della guerra), non è chiusa a causa della guerra, dei bombardamenti, della pulizia etnica - tutte cose lontane da qui, come è ben risaputo. È chiusa invece perché io sono in sciopero. E sono in sciopero non già perché abbia qualcosa contro cui protestare - e quando mai? non è forse risaputo che la vita è bella e il leone si giace con l'agnello? non viviamo forse nel migliore dei mondi possibili? Esiste addirittura (ero all'edicola, l'ha chiesta un signore distinto e l'edicolante d'istinto gliel'ha data, muovendo la mano con automatica sicurezza) una rivista di Previsioni del Lotto. Che altro si può volere nella vita?

Dunque, riepilogando: la rubrica salta una puntata (e questa interruzione ovviamente rinvia al prossimo numero la terza parte dell'elenco di quelle Cento voci da frequentare imprescindibilmente nel tempo degli anni verdi verdissimi); io sono una vittima della guerra; e io (I maiuscola, qui, grazie), Io sono in sciopero. E però deve essere chiaro che il mio stato di scioperante è dovuto a ragioni (ça va sans dire, di questi tempi) umanitarie.

Il fatto è che l'altro giorno, insieme alla massa di ben altre sei colleghe, ho aderito a uno sciopero contro la guerra - sì, certo, una Causa nobilmente ingenua e ingenuamente nobile; e aggiungerò- en passant (notare il reiterato francese, perché giochiamo che c'era l'Europa) che l'essere stato graziosamente sostituito nelle mie ore di sciopero da una insegnante di sostegno avrà fatto pensare a qualcuno che un mal di pancia sfuggito alla Programmazione mi abbia impedito di raggiungere, quel giorno, la scuola.

Ebbene, quando ho annunciato ai miei alunni, che hanno sei anni, prima elementare, l'adesione allo sciopero, essi, ben coscienti di quali poteri io detenga, non hanno dubitato un istante che il mio gesto facesse semplicemente finire la guerra. L'unica nota tremula, di stupore e apprensione, si riferiva al luogo, alla distanza. "Ma vai fino là, a far smettere la guerra?", mi hanno chiesto.

Consapevole come sono della forza che rappresento presso i miei alunni - e rinforzato in analoga consapevolezza dall'avere abusivamente sentito qualche giorno fa mio figlio (sei anni, prima elementare) che confidava a una sua amica: "Mio papà è fortissimo" non posso esimermi dal fare qualcosa. Dichiararmi in sciopero, appunto, giacché questa è l'unica cosa che mi riesce sensatamente di fare. Anche perché - e questa affermazione la confido qui, in una rivista rigorosamente vietata ai seienni - sulla guerra, soprattutto con i miei alunni e con mio figlio, mi trovo in autentica difficoltà. E quindi sono vittima della guerra (e anch'essi lo sono). Sì, perché loro vogliono sapere chi siano i buoni, chi i cattivi, e in che modo questi ultimi perdano, in quale abisso precipitino. E vogliono sapere se la guerra" è lontana o anche qui, perché sanno bene che i bambini possono permettersi di giocare a fare i soldati ma non i soldati di giocare a fare i bambini. Inoltre, della guerra parlano pochissimo, portandomi lontano con tutt'altro. Ma io questa zavorra non la perdo, e mi lascio portare ma gra vato dal peso del bisogno di dire e di pensare, di dedicare parole a quella cosa lì.

[Fossero un po' più grandi, potrei proporre loro molte storie, anche molto belle. Per esempio la straordinaria Rosa Bianca di Roberto Innocenti (Edizioni C'era una volta); i libri di Robert Westall, tutti pubblicati da Mondadori: La grande avventura, Una macchina da guerra, Golfo, Gioco pericoloso, Blitzcat; oppure Un viaggio indimenticabile, di Penelope Lively (Mondadori); il bellissimo L'isola in via degli Uccelli di Uri Orlev (Salani); i libri di Alki Zei (La tigre in vetrina, Einaudi, La storia di Petros, Mondadori); Biancheggia vela solitaria di Valentirn Kataev (Rizzoli, ma chi lo trova più?); il romanzo di Stratis Haviaras, L'età eroica (Feltrinelli). Fossero ancora un po' più grandi, che so?, come i loro genitori, proporrei loro di leggere La Storia di Elsa Morante (Einaudi), e L'impero del sole di James Ballard (Rizzoli) - e il prezioso utilissimo libro di Walter Fochesato, La guerra nei libri per ragazzi (Mondadori).]

 E così non mi rimane altro che la miracolosa arma del dichiararmi in sciopero, così almeno la guerra finirà. Mi dichiaro dunque ufficialmente in sciopero, anche se, dato che corrono tempi di disperate rassegnazioni, magari qualcuno penserà che sia a causa di un vigliacco mal di pancia rubricario che nelle prossime righe io venga sostituito dal collega Peter Bichsel, dalle sue parole di un saggio contenuto in Al mondo ci sono più zie che lettori (Marcos y Marcos, 1989): "So che sembra un'affermazione cinica se dico che sono una vittima della guerra del Libano. È cinica nei confronti delle vere vittime. Ma io l'ho tollerata questa guerra. Non per questo ho dormito peggio e ho continuato a esporre i miei commenti politici davanti al mio boccale di birra con impegno e convinzione. Ma tollerandola ho pur sempre dato prova che sarei in grado di tollerare anche cose peggiori. (...) Sono una vittima della guerra del Libano perché mi ha abbrutito, perché la mia capacità di provare emozioni è bruciata, perché il mio orrore si inquadra nella mia concezione politica e perché - non vogliatemene per questo - questa guerra contribuisce da parte sua a che io non possa più prendere sul serio il mio personale dolore. Che cosa sono i miei personali dispiaceri - i problemi con la mia innamorata, per esempio - commisurati all'orrore di una guerra? Posso ancora lamentarmi del mio mal di testa se altri soffrono la fame? So che è ridicolo, e vedo anch'io che il mio mal di testa non è importante. Vedo anche che non ho il diritto di essere triste se altri vivono non nella tristezza ma nel terrore. Ma temo che se non posso e non devo occuparmi della mia propria tristezza, non potrò occuparmi allora neanche della tristezza del mondo. La guerra mi ha già raggiunto. Sta distruggendo i miei sentimenti e li sta rendendo ridicoli. La guerra si sta aprendo un varco nella mia anima. Sono una vittima della guerra del Libano. (...) E un'ultima cosa: immagino che il mondo andrà avanti così com'è (...). Un mondo giusto è un obiettivo a lungo termine. Occorrerà molto, molto tempo. Quanto ce ne vorrà ancora non lo può dire nessuno, perché nessuno si è ancora veramente dato da fare. Quindi per ora ci resta solo la domanda: "Avete già compilato la schedina del lotto di oggi?"".