Da L'Unione Sarda del 17.1.1996

L'Elsa Bambina

                                                                                                           

Tornano, i Felici pochi, in certi orienti (barbari) e oscure zone (depresse) / dove non s'ha il vizio d'assassinare i profeti / né di sterminare / i poeti. A dieci anni dalla scomparsa di Elsa Morante, e dalla durissima conclusione di quel percorso umano e artistico «insieme veggente e cieco, una terribile e coerente fuga di specchi in un luogo buio» - come ha recentemente scritto Cesare Garboli ne Il gioco segreto -, ritornano, le «storie della preistoria» della grande scrittrice romana, i racconti e i romanzi brevi scritti prima dell'età adulta e dedicati ai bambini.

Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina e altre storie (Einaudi, pagg.226, L.18.000), rimaste sinora in disparte, e solitamente rimosse dalla critica morantiana, sono approdate alla prima organica raccolta in virtù di alcune fortunate coincidenze. O se si preferisce, proprio come i Felici pochi ne Il mondo salvato dai ragazzini, grazie al magico «capriccio dei venti».

Tutto è nato da una relazione che Giuseppe Pontremoli, scrittore e critico letterario, presentò qualche tempo fa a un convegno sulla scrittrice. Una relazione (già pubblicata in Per Elsa Morante, edito dalle Edizioni Linea d'Ombra) che analizzava i primi scritti morantiani con la caratteristica del lettore innamorato e affetto dal «morbo del pregiudizio favorevole».

In realtà la relazione fu quanto di meglio, e di più accurato e illuminante, da Pontremoli, e dal suo straordinario terzo occhio sull'infanzia e sulla letteratura per l'infanzia, ci si potesse aspettare: gli eredi della Morante gli affidarono, anche con l'avallo di Goffredo Fofi, l'incarico di curare questa raccolta.

Si tratta di diversi racconti, e del romanzo-fiaba che dà il titolo al volume, scritti negli anni '30 e accompagnati da illustrazioni della stessa autrice. Apparvero quasi tutti sul Corriere dei piccoli e su I diritti della scuola ed oggi si prestano, come è ovvio, a diversi livelli di lettura.

Il primo dei quali resta naturalmente proprio quello "dei bambini": ai bambini, ai "ragazzetti", sono da dedicarsi queste storie di Elsa bambina.

Ma anche le città degli adulti - per quanto tutte le città della terra sono un'unica, maledetta / congrega / contro i ragazzetti celesti, dovrebbero ospitare queste storie sconosciute e delicate: se non altro, vista la diffusa riluttanza a lasciarsi trasportare negli eden letterari per ragazzi, per comprendere qualcosa di più del percorso umano e letterario della grande scrittrice.

Le storie della preistoria di Elsa Morante anticipano infatti, e prima di ogni altro elemento - «ambientazioni, cosmogonie, tematiche, accenni di stilemi» - soprattutto il suo inconfondibile registro, la «predilizione per le Cenerentole, per gli idioti, per i luoghi scarnificati, per ogni entità costituzionalmente aliena dal potere». In un'epoca in cui sull'infanzia si riversavano mefitiche retoriche - e Mamma e Italia e Re e Duce e Fede - la giovanissima Elsa architettava delicatissimi castelli con solide basi nel più vero sentire.

Caterine ingannato da un soldo bucato, Tit disponibili «sino alla dissipazione» e col sorriso triste del Piccolo Principe, Ultimefate esiliate («gli uomini non possono permettere che le creature piccine e deboli vivano tranquille») e Marioline in fuga da ogni Isola che non c'è: amori bambini, appassimenti e rinascite, fughe e ritorni nell'unico mondo possibile, quello del Vero Sentire dell'infanzia.

La Morante, che a questa dimensione dell'infanzia, e anche a quella celata nei cuori adulti, dedicò le sue pagine forse più belle (Pontremoli ricorda tra gli altri Useppe e Ida de La Storia), durante la sua vita non manifestò mai l'intenzione di ricomporre queste sue storie "giovanili".

E questo dato di fatto, oltre a costituire un problema di coscienza per Pontremoli (superato grazie anche all'incoraggiamento entusiasta di Alfonso Berardinelli) restituisce forse l'ampiezza della forbice che separa la serenità dei primi scritti dagli accenti disperati del suo ultimo romanzo, Aracoeli.

È lo spazio di una vita intera.

Uno spazio attraversato da una visione mitica dell'infanzia, ma anche dalla dolorosa consapevolezza della «congiura congiunta di biologia e storia» del tutto «orrendamente cambiato», della «guerra, e gli addii, e i furti d'amore». E dello scandalo della Storia, di Auschwitz, «per ciò che era stato fatto alla madre di Davide», come se «ormai tutta l'infanzia del mondo sia stata devastata in eterno».

È esattamente lo spazio che separa il sonno di Caterì nel Palazzo del Sogno, «sicura dell'eterna amicizia di Tit», dalla consapevolezza che, ne Il mondo salvato dai ragazzini, le fanciullezze sulla terra / sono un passaggio di barbari divini / col marchio carcerario della fine già segnata.

Pontremoli, nel chiudere la post-fazione, ha scritto che «tutto questo rende ancora più importante riproporre oggi la voce della preistoria di Elsa Morante».

Ed è proprio vero. Almeno per i bambini. E per i "pazzarielli". E per chi resta ostinatamente refrattario a rimuovere dal sé adulto le ultime tracce dell'unico Vero Sentire.

 

ALBERTO MELIS