| Bosko e Admira su ècole giugno 1993 | 
                                                                                                                     

| *********************** “Una
  sera bisognerebbe andare al Cancello della Collina a parlare con l’autore di
  Penny Wirton, e raccontargli la storia di Bosko e Admira, e dirgli di dire
  agli altri morti di aspettarli. Prima o poi arriveranno anche loro, alla
  Collina, e nessuno dovrà dimenticarli mai”. Angela,
  dieci anni, ha detto queste parole; le ha dette dopo aver letto a scuola i
  giornali che riportavano la notizia, proveniente da quell’immensa fossa
  comune che ha i nomi ormai lugubri di Sarajevo, Bosnia, ex Jugoslavia,
  dell’uccisione di Bosko Brckic e Admira Ismic, i due ragazzi che in nome del
  loro (infantile?) desiderio di vivere cercavano di fuggire da quegli orrori e
  i cui corpi abbracciati sono rimasti per giorni abbandonati accanto al fiume. Sì
  Angela, dovremmo proprio andarci, una di queste sere, là, sulla Collina, dove
  riposano tutti coloro che sono rimasti incantati e continuano a essere vivi
  fino a quando qualcuno ne alimenti nel profondo di sé la memoria. Ed è
  proprio con Silvio d’Arzo, l’autore di Penny Wirton e sua madre (Einaudi
  1978, postumo) che dovremmo parlare, perché è lui che ha inventato la
  Collina e le sue voci, e per far riecheggiare la storia di Bosko e Admira
  sarebbe molto adeguata la musica del suo dire, la sua estrema pietà, il suo
  doloroso sentire. Sì,
  Angela, dovremo proprio andarci, una di queste sere, sulla Collina, ma prima
  è necessario chiarire ancora qualcosa, perché questa storia possa essere
  raccontata nel modo migliore. Intanto bisogna provare a dare risposta ad
  alcune domande, tue e dei tuoi compagni. Per esempio, come ha detto Gabriele,
  perché i giornali parlano di "amanti" e non, per esempio, di
  "innamorati" o "fidanzati"? E perché Bosko viene definito
  "serbo" e Admira "musulmana"? Non ha forse ragione Sara
  quando dice che una parola si riferisce a una nazionalità e l'altra a una
  religione? Ed è giusto davvero, come hanno fatto tutti i giornali che abbiamo
  visto, parlare di loro come Giulietta e Romeo? Per
  il riferimento a Giulietta e Romeo si è cercato, con Angela, Sara, Gabriele e
  tutti gli altri, di capire e dare una risposta. E così abbiamo preso il
  bellissimo libro di Leon Garfield, Le storie di William Shakespeare (Nuove
  Edizioni Romane, con splendide illustrazioni di Cecco Mariniello) e abbiamo
  letto Romeo e Giulietta  ma avremmo voluto leggere anche i Racconti di
  Shakespeare di Charles e Mary Lamb (Mursia) e Giulietta e Romeo di
  Roberto Piumini (Einaudi Ragazzi) - e ci è sembrato che sì, tanto gli uni
  quanto gli altri abbiano anteposto a tutto il proprio desiderio (infantile?)
  di essere vivi davvero, a qualunque costo. Leggendo il racconto di Garfield è
  riaffiorata una storia che avevamo letto insieme tempo fa, Ronja, la figlia
  del brigante, di Astrid Lindgren (Mondatori) in cui la protagonista era
  innamorata del figlio del bandito rivale e io ho raccontato la storia stupenda
  di Vrenchen e Sali in Romeo e Giulietta nel villaggio, di Gottfried
  Keller, pubblicata da Marsilio - ma ne esiste anche un'edizione di SE Studio
  editoriale e la si trova inoltre in Le sette leggende e altre novelle (TEA).
  E però ci è sembrato anche di poter trovare delle analogie tra la storia di
  Bosko e Admira e quella di Antigone, che sfidò il divieto di seppellire il
  fratello; tra Bosko e Admira e Filemone e Bauci, che desiderarono di terminare
  insieme e si mutarono in alberi; tra la storia di Bosko e Admira e quella di
  Piramo e Tisbe. Abbiamo insomma cercato di fre in modo che Bosko e Admira non
  restassero soli, e soprattutto nel racconto di Keller abbiamo trovato qualcosa
  di cui ci siamo serviti per cancellare le scarne, superficiali e pigre notizie
  dei giornali. E
  così ci siamo dettii che che Bosko e Admira, come Vrenchen e Sali,
  “continuarono a camminare così, l’uno accanto all’altra, perduti in
  dolci sogni, come se non venissero da case distrutte dall'odio e dalla
  miseria"; ci siamo detti che sembravano "aver dimenticato il mondo
  attorno" e a un certo punto "si misero a correre lungo la riva, più
  veloci della corrente, tale era la foga con cui cercavano un luogo dove
  posarsi; la loro passione vedeva soltanto l'ebbrezza estatica dell'unione dei
  corpi e in essa si concentrava, come nel punto focale, ogni senso e valore
  della vita; quello che sarebbe venuto poi, la morte, il nulla erano come un
  alito di vento ed essi non ci pensavano". Poi, una di queste sere, andremo fino là, sulla Collina. |