Le brutte cose

Il "mistero doloroso" delle "esigenze scolastiche" che massacrano i testi più significativi della letteratura contemporanea. Meneghello censurato da Bompiani "con il consenso dell'autore"

su ècole aprile 1992

                                                                                                                     

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 Nel primo mistero per niente glorioso si contempla... No, non va bene, molto meglio così: Nel primo mistero scarsissimamente gaudioso... Nemmeno; meglio ancora: Nel primo mistero infinitamente doloroso... Ecco, sì: Nel primo mistero infinitamente doloroso si contempla come uno, desiderando sapere cosa siano mai le "esigenze scolastiche", quest'uno si trovi poi ben subito dentro a una interminabile galleria teratologica.

 Certo, potrebbero suonare misteriose queste allusioni a misteri; a chi non abbia avuto una educazione cattolica; ma io l'ho ricevuta, eccome, e non mi sembra d'essere, in questo, particolarmente solo. Mi sembra d'essere anzi dentro una moltitudine, e dentro uno dei tratti più precisi e dominanti di una cultura nazionale. È anche per questo che l'opera poetica di Giovanni Giudici - era raccolta in due volumi presso Garzanti con il titolo Poesie 1953-1990. Mi sembra, oltre che bellissima, molto importante: perché protesa a fare davvero i conti con questo tratto della nostra cultura (e in quanto tale, ma non solo per questo, destinata a "durare"). Bisognerebbe leggerle anche a scuola, le poesie di Giudici, e lo affermo pur essendo ben consapevole che in un luogo così coattivo come la scuola c'è sempre il rischio che tutto, compreso il libero e il gioioso, si tramuti tristemente in condanna e cupezza. E comunque, ripeto, bisognerebbe leggerle anche a scuola, le poesie di Giudici, e soffermarsi a lungo su mille loro "luoghi", e tra questi, per non fare che un esempio, su una sezione del suo primo splendido libro, La vita in versi, sezione intitolata L'educazione cattolica. Bisognerebbe però, se mai dovesse avvenire, che non avvenisse con la preoccupazione di adeguare i testi "alle esigenze scolastiche"; le quali, appunto, non si sa cosa siano, ma sicuramente non sono cibo buono. 

Libera nos a malo

Ho davanti un libro, edito da "Bompiani per le scuole superiori", collana "Letture". Si tratta  dell'edizione scolastica di Libera nos a malo, di Luigi Meneghello; un libro uscito in prima edizione da Feltrinelli nel 1963 e ripubblicato qualche anno fa negli "Oscar Mondadori"; un libro straordinario, bellissimo, molto libero e molto inventivo, molto divertente e molto impietoso, fondamentale per conoscerci ­ noi italiani del Novecento, intendo davvero. Guardo l'edizione scolastica di questo libro straordinario e subito c'è una nota preoccupante: il libro, con il consenso dell'autore, è stato "adattato alle esigenze scolastiche". Cosa saranno mai? E, soprattutto pensando che la collana in cui il libro è pubblicato è molto esplicitamente dedicata alle "scuole superiori", cosa sarà necessario edulcorare o nascondere a persone che hanno anche diciotto diciassette diciannove anni? Nell'ennesimo mistero infinitamente doloroso si contempla... Fortunatamente - si fa per dire, o per trovare comunque un vetro consolatorio sul quale arrampicarsi - in questa edizione l'adattamento alle esigenze scolastiche è segnalato dalle parentesi con dentro tre puntini: cioè una onesta dichiarazione di questo tipo: "qui c'era scritta una cosa che tu non devi sapere, perché io, editore ministro curatore autore professore, ho deciso così, e più non dimandare". E però anche una dichiarazione onesta non assolve. Una censura è comunque una prevaricazione, anche quando si tratti di una operazione che tenda benevolmente a rendere meno gravosa una lettura; e una censura è comunque un insulto all'intelligenza e una imperdonabile mancanza di rispetto. Poi succede che uno vada a vedere cosa sia stato tagliato, e scopre che ancora una volta si tratta delle solite cose: il sesso, la religione, il corpo, i preti, il sesso, la religione, il corpo... Per esempio, nel primo capitolo si parla di amori infantili, di giochi non molto tecnologici, ma fatti con i corpi: "La Norma la prendo io, tu prendi la Carla. E io prendevo la Carla, ma in segreto ammiravo la Norma. Il pallore della Norma: quello sbiancare della pelle all'interno delle cosce. La Carla era una bella tosetta, ricciuta e ben fatta, scura di pelle, cordiale; ma la Norma era un molle tranello in cui bramavo cadere. Però prendevo la Carla: l'idea di contraddire Piareto non mi sfiorava nemmeno.. Io ero il più giovane (e la Norma, che aveva forse sei anni, la più vecchia) e non toccava a me scegliere. E poi mi sarebbe dispiaciuto offendere la Carla, tanto simpatica e volenterosa." Compare, tutto questo, anche nell'edizione scolastica; però, chissà perché, scompare "quello sbiancare della pelle all'interno delle cosce".  Forse perché nell'infanzia, che è il tempo dei colori e delle forme, delle realtà concrete, non si devono vedere le cose che si guardano, e non devono avere colore e consistenza le cose che si fanno? (Deve esserci tra l'altro da qualche parte, in qualcuno, una idiosincrasia specifica, se un po' più avanti. nuovamente, alla vista di "una coscia e rimasi come fulminato" bisogna censurare il fatto che quella coscia "era pallida sopra l'elastico che fermava la calza nera , aveva riflessi azzurri, carne scompiglia-visceri.") E poi, perché là dove si parlava della Norma e della Carla deve sparire un passaggio come questo? "E così nel folto dei rampicanti a meta dell’orto, in una penombra verde subacquea, deposte tra i filari le spade di legno facevamo le brutte cose con le nostre donne accucciate per terra?" A me sembra particolarmente avvilente togliere la possibilità di soffermarsi su quel "le brutte cose", dal quale potrebbero avviarsi numerose e corpose riflessioni, riguardanti l'etica, la filosofia, la narratologia, la storia della lingua, la storia dell'educazione cattolica, la storia della nostra storia. Ma forse le "esigenze scolastiche" sono soprattutto il fare in modo di smorzare quello che possa in qualche modo configurarsi come aperto, vivo e problematico. Un altro esempio soltanto, voglio fare. Nel ventesimo capitolo, là dove si parla della "Compagnia", potente istituzione educativa, si è censurato un frammento in cui Meneghello racconta di quello che "una sera arrivò al Castello tutto eccitato, si capiva che doveva essere accaduto qualcosa di drammatico, di radicale. Era trafelato, perché era venuto di corsa; ma quando riuscì ad articolare con voce strozzata il suo messaggio: L'ho baciata, io-porco, tutti scoppiarono a ridere, e Pompeo non capiva perché." A parte l'inaccettabilità di qualunque tipo di censura, direi che in questo modo si è precostituita la possibilità di perdere un'occasione: quella di ragionare e discutere sulla blasfemìa, sul turpiloquio (adolescenziale e non), sul benpensantismo, sul benpensantismo turpiloquiale, sull'adeguatezza delle parole, sulle possibilità di dire l'indicibile, sulla presenza del sacro, su mille e una altra cosa legate strette alla scuola, alle formazioni, alle educazioni, all'educazione cattolica, insomma alla nostra storia. Spesso le occasioni perdute non sono solamente tali; sono anche scelte colpe­ (….. PARTE MANCANTE…)