| Bambini e bambinologi da Linea d'Ombra annata 1988 | 
                                                                                                           

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          triste spocchia della principessa Pedagogia. La necessità di
          ridiscutere le immagini generiche e di comodo dell'infanzia Al tempo dei tempi, molto lontano da qui, nel Reame della Mistificazione, viveva la principessa Pedagogia. Triste e spocchiosa, aveva un solo scopo nella vita: diventare regina. Per questo, dopo aver fatto fuori tutti i bambini, trascorreva i suoi  giorni di brama a guardare
          soltanto il Bambino, un essere fatto di niente, acquoso e amorfo,
          molliccio, mollusco, che poteva esser visto soltanto inforcando
          occhiali che ne avessero stampata sulle lenti la pur improbabile
          sagoma. Eh, no, non funziona. Le fiabe sono vere, e qui c'è invece una doppia solenne menzogna: il "tempo dei tempi" e il "molto lontano da qui". Perché invece il Reame, e la Principessa, sono qui, qui e ora. Ma soprattutto le fiabe sono avvincenti, e piene di fascino, e questo è decisivo per non andare più oltre. E
          allora lasciamo perdere, e vediamo piuttosto i bambini. Perché? Perché
          si. E poi perché avendo a che fare ogni giorno con loro se ne vedono
          tanti, ma mai un Bambino, e si scoprono in loro mille bisogni, e poi
          desideri, folate impetuose di voglie. E avere a che fare ogni giorno
          con loro non è senza eco, e insegna qualcosa. Ad esempio, che forse i
          nemici più grandi sono il Mito e la Mistica, quando invece sarebbe
          sufficiente guardarli, i bambini. E infatti le cose più chiare su
          loro le han viste e le han dette coloro che hanno guardato i bambini e
          le cose d'intorno. Il più delle volte da fuori dai luoghi deputati; o
          anche dentro, ma lavorando fitto per intrecciarlo al fuori, questo
          dentro. Scriveva Alfredo Rasori, in Piano di lavoro di un maestro, Pratiche,
          1978: "La prima storia della pedagogia che uscirà in Italia dovrà
          passare da Seveso, e ricordare che il fiume Seveso straripò a Milano.
          C'è più pedagogia nella cloracne che non nei biforcuti decreti
          delegati". Ma fuori o dentro ha ben poca importanza: ciò che è
          decisivo è guardare con gli occhi e guardare lontano. E così,
          allora, non ci si potrà affidare ai Bambinologi, ma piuttosto ad
          altri, indefinibili, che però dei bambini si sono accorti davvero.
          Nonbambinologi, dunque; nonpedagogisti. Come EIsa Morante, come
          Tolstoj, come Bilenchi, Henry Roth, Don Milani, Guimaraes Rosa. O come
          Montale, che coi bambini non ha avuto molto a che fare ma ha scritto
          una poesia che ci dice più cose sull'infanzia di quante non ne dicano
          tanti volumi di cui si nutre la famosa Principessa. "I bambini
          sono teneri / e feroci. Non sanno / la differenza che c'è / tra un
          corpo e la sua cenere. / I bambini non amano / la natura ma la
          prendono". (Un mese tra i bambini, in Satura). Oppure
          come Rocco Scotellaro: "Con la neve si Ci
          si potrebbe anche fermare qui, perché questi due soli  In
          diverse occasioni, da più parti, si parla di educazione ambientale,
          di educazione alla pace, di nonviolenza. Ottima cosa, in sé, ma
          debole ed ecquivoca se non supportata, ad esempio, dal parlare - come
          diceva Brecht - "di rapporti di proprietà". Ottima cosa, in
          sè, la pace, ma non bastano che non scendano bombe. Ottima cosa, in
          sé, la non violenza: ma che cos'è? E' un mezzo? E' un fine? E' la
          separazione tra i fini ed i mezzi non è forse uno stato di guerra,
          un'oppressine violenta?  Ancora
          una volta, oggi più che mai, i bambini sono soli. Eppure si potrebbe
          forse proprio imparare da loro, a essere nonviolenti. Da loro, che
          hanno comunque bagliori negli occhi: sia quando guardano i fiori sia
          quando li schiacciano perché la capriola e la corsa gli urlano
          dentro; sia quando parlano con il cane o il gatto perché non è altro
          che un amico vero sia quando fanno gli esperimenti per scoprire se è
          vero che il gatto cada sempre sui piedi; senza pensare ad amare la
          natura ma semplicemente prendendola, con tutta la gioia che questo
          comporta che è il modo migliore di rispettarla: vivi nel vivo.
          Perché è forse questa la nonviolenza: essere vivi nel vivo, con il
          sé che non fugge e s'intreccia ai dintorni - alberi, bestie, persone.
          Perché è qui che potrebbero saldarsi i mezzi e i fini. E
          così Dito è morto', e seguita a morire, come quel combattente di una
          poesia di Vallejo. Seguita a morire anche quando gli si avvicina un
          uomo e gli dichiara il suo amore, anche quando gli si avvicinano in
          due, in venti, in cento, mille, |