Il prezzemolo Rodari  

da Linea d'Ombra annata 1988

                                                                                                           

Il mio vicino - non vive solo, ma è lui che si sente russare e scatarrare - ha un

Frontespizio di una delle prime edizioni

 canarino. Se ne sente la voce, ogni tanto, ed è pure graziosa, anche se sempre uguale. Si staglia con nitore su musichette insulse eruttanti dalla tivù sempre accesa, su scrosci di sciacquone, su insulti sordi e secchi regalati alla moglie. Sì, c'è anche lei, ma la si sente poco. Quel poco che si sente, sono lamenti brevi mescolati al cozzare di piatti. Una volta piangeva, ma s'è fermata subito perché il capo le ha detto: "Smettila di piangere. È una cosa che a me non m'interessa". (Il pianto o la sua causa? Si potrebbe pensare che piangesse fors'anche per qualcosa che non era il marito. La cosa è suggestiva, e se fosse così si potrebbe anche dirle "complimenti, signora, lei ha fatto un bel pieno"). Cosa ci fa, là dentro, il canarino? Che rallegramento ne viene? E che dire dei voli? E così quando ho visto Rodari dentro i libri di testo, anche lui messo lì tra scrosci di sciacquone e musichette, tra insulti rauchi e sordi - ai bambini, e all'intelligenza -, tra eruzioni di rassegnazione e di grettezza, ho capito che aveva ragione quel qualcuno (non ne ricordo il nome) a sostenere che in quei luoghi "il favoloso Gianni" ci faceva soltanto il canarino. Certo, aveva ragione. Ma mi pare che quel qualcuno lo dicesse un po' come pensando che si trattava di un ravvivamento, di un'isola gioiosa. Se così fosse, direi che non sono  d'accordo. La canarinità è prima di tutto gabbia, e quindi niente voli, e voce senza vita. E, spesso, copertura e belletto per l'insulso ed il putrido. Chi non ci crede, butti un occhio in un libro di lettura, oppure faccia un salto a casa mia.     

Rodari pubblica i suoi primi testi per bambini (firmati, anonimi o firmati con pseudonimi) nel 1949 sull'edizione milanese de "L'Unità" e sul settimanale comunista "Vie Nuove" (diretto allora da Luigi Longo e contenente una rubrica dedicata ai bambini, "Piccolo mondo nuovo", in cui comparvero anche testi di Bilenchi, Calvino, Saba, Gatto, Tozzi, Govoni). E sono dei primi anni Cinquanta (dapprima sul "Pioniere", poi in Il libro delle filastrocche, Roma, Edizioni del Pioniere, 1950 e in Il treno delle filastrocche, Roma, Edizioni di Cultura Sociale, 

"Le carte parlanti": copertina della prima edizione

1952) i testi chhe daranno vita nel 1960 al suo primo libro einaudiano: Filastrocche in cielo e in terra. Così come del '51 è Il romanzo di Cipollino, Edizioni di Cultura Sociale. Questi testi, al di là del loro valore letterario, sono importantissimi perché si tratta dei primi strumenti con cui la cultura di sinistra si rivolge organicamente e con sistematicità ai bambini, immettendo nella produzione per l'infanzia la lotta di classe, la realtà sociale, la storia.

Precedentemente c'erano stati soltanto libri isolati, come Totò il buono di Zavattini, del '43, ambientato in una città industriale e in cui il "cattivo" è un padrone di fabbrica, e le poesie antiautoritarie e libertarie di Alfonso Gatto pubblicate da Bompiani nel' 45 con il titolo Il sigaro di fuoco ("Non date retta al re/non date retta a me/ (....) Non date retta al saggio/ al maestro del villaggio/ al maestro della città/ a chi vi dice che sa./ Sbagliate soltanto da voi").

Il lavoro di Rodari in quegli anni (soprattutto i Cinquanta, ma anche parte dei Sessanta, fino a La torta in cielo, del'66, da cui Lino Del Fra ricaverà poi un buon film) è caratterizzato dalla denuncia delle ingiustizie e dell'oppressione di classe, anche se già nel '60, nell'edizione Einaudi di Filastrocche in cielo e in terra, ci sono varianti significative - di natura politica più che letteraria - dei testi pubblicati precedentemente: alcuni scompaiono, come Il bimbo di Modena, che diceva "So che si muore una mattina/  sui cancelli dell'officina,/ e sulla macchina di chi muore/ gli operai stendono il tricolore" dopo avere "visto la Celere/ quando sui nostri babbi ha sparato", in altri "i ricchi" diventano "i fannulloni" e un "miliardario americano" diventa un più generico "miliardario forestiero". E non è un caso che sia proprio di quegli anni la storia di Cipollino, in cui si mette in campo un mondo articolato nei dettagli e che rappresenta e prefigura una condizione sociale inaccettabile, e quindi combattuta, e quindi vinta. C'è da dire, tra l'altro, che Rodari in tutta la sua copiosa opera non ha mai prodotto un Peter Pan, un Pinocchio, un'Alice, cioè mai un Personaggio Indimenticabile e Assoluto, proiezione ideale del lettore ben oltre il tempo di immersione nella lettura. L'unica eccezione in questo senso - ed è comunque un'eccezione parziale, derivante forse più dalle pur brutte tavole disegnate da Raul Verdini sul "Pioniere" che dal romanzo e probabilmente di dimensioni minori di quelle dei coevi Chiodino (del '52) e Atomino (del '63), di Marcello Argilli (con le bellissime illustrazioni di Vinicio Berti) - è costituita proprio da Cipollino, cioè l'eroe di una storia in cui si scontrano inequivocabilmente opposte concezioni del mondo.

Negli anni successivi il lavoro di Rodari perde le caratteristiche degli inizi, per certi aspetti affinandosi stilisticamente, per altri facendosi più ripetitivo, più generico nelle opzioni ideali - che restano comunque quelle "universali" della libertà, dell'uguaglianza, della pace. Cambiati i tempi, cambiato lui, cambiato il partito, il mondo? Certo. C'erano gli archi costituzionali, le unità nazionali, i compromessi storici, le estati effimere - ma la polizia sparava ancora, e quanto ai padroni... Comunque Rodari non pubblica più esclusivamente sulla stampa del partito, ma accede al "Corriere dei Piccoli", all'Einaudi, alla televisione. Arrivando così anche nei libri di testo. A fare il canarino. Sì, perché inevitabilmente ì testi antologizzati (anche i libri di lettura sono cambiati, ma non poi più di tanto) sono quelli, pur belli e in ogni caso non comparabili neppure vagamente a tutto il resto, più indifferenziatamente accettabili, sono quelli più generici o quelli più meramente linguistici". E questi, presi a sé, fuori dal mondo di progettualità in cui sono nati (prendere la parola, prendersi le parole, giocare con le parole, puntare brechtianamente il dito su ogni voce e chiedere: e questo, perché?) non hanno molto senso, come acqua del mare in un bicchiere. Perché questo, probabilmente, è il senso più forte, il valore più intenso di Rodari: progettare, globalmente e senza chiudere, contemporaneamente usando il 

Frontespizio di una delle prime edizioni

 cannocchiale da ogni Iato, con lenti d'ogni tipo, con occhi aperti e chiusi. E in quello ch'è forse il suo libro più bello, Grammatica della fantasia (Einaudi, 1973), Rodari ne dà una prova straordinaria: un libro che ha per sottotitolo il depistante Introduzione all'arte di inventare storie, e che tale non è, ed è invece una bellissima storia. Una storia che appassiona e diverte, una storia di denuncia e fiducia, di fantasia e di ragione, una storia dentro la Storia. Uno strumento efficace per scardinare e fare, per dubitare e credere - di tutto, del vero e del possibile, e nel possibile vero. Dubitare e fare per credere a un futuro sperabile, per esempio al "paese di Domani" di una delle Favole al telefono.

E chi un giorno, nel Paese di Domani, volesse visitarne il "Museo del Tempo Che Fu, dove sono raccolte le cose di una volta che non servono più, come la corona del re, lo strascico della regina, (...) l'inferriata di una prigione, un cane da guardia, il tram di Monza, eccetera", potrà vedervi, in apposita stanza, anche il mio vicino. La moglie no, perché chissà dov'è. Non la si riconosce proprio più: è completamente cambiata, perché nel Museo, tra le cose che non servono più, c'è anche La parola Piangere, che addirittura dà il titolo alla fiaba. II mio vicino invece è proprio lì, adagiato nella sua bella tazza di maiolica. E i libri di lettura saranno li a portata, per miliardi di strappi, e chi volesse provare a srotolarli legati ai palloncini, li vedrebbe andare ben oltre i dieci piani. E seguirà lo scroscio, lo scroscio berluscone, interrotto ogni tanto, in perfetta armonia, dallo scroshow di qualche Reterai.

E il canarino? Non so, sarà nel vasto mondo. Sarà nel vasto mondo a far l'uccello, a cantare e volare. Questo è sicuro, perché lì vicino alla tazza c'era (guarda nella Grammatica - in quella di Rodari, beninteso -: ci sono cose preziose sui verbi all'imperfetto), c'era quella che un tempo era la gabbia. Era stata smontata, ed era diventata un mazzetto di stecche: indispensabili per infilzare e pungere, e, soprattutto per spingere giù.