Settembre è il più crudele dei mesi 

da ècole 9 2001

                                                                                                           

     Vorrei leggere in pace “Settembre”, di Attilio Bertolucci («canoro giorno di settembre / che ti specchi nel mio calmo cuore»). Vorrei leggere in pace la nuova edizione (Adelphi, settembre 2001) di Assalonne Assalonne di William Faulkner, nato in settembre. Vorrei leggere in pace Bruno Schulz, nato due mesi prima di settembre e ucciso due mesi dopo settembre: Le botteghe color cannella. Tutti i racconti, i saggi e i disegni (Einaudi

 2001), riproposto a settembre.

Vorrei leggere in pace I racconti di Stevenson, trasposti dai “Millenni” nei Tascabili Einaudi a settembre. Vorrei leggere in pace l’ultimo libro di David Grossman, Qualcuno con cui correre (Mondadori 2001), uscito a settembre. Vorrei leggere in pace I racconti dello Yiddishland (Garzanti 2001), del grande cantore di musica ebraica Ben Zimet, usciti a settembre. Vorrei leggere in pace La linea del colore (Manifestolibri 2001), saggio di Sandro Portelli sulla cultura afroamericana, uscito a settembre.

Vorrei ascoltare in pace Franz Schubert, e Schönberg e Stravinski, amori immensi con la stessa iniziale di settembre. Vorrei vedere in pace Intelligenza artificiale, di Spielberg, uscito nei dintorni di settembre. Vorrei guardare in pace la nuova edizione di Pinocchio illustrata da Lorenzo Mattotti, uscita da Fabbri a settembre. Vorrei rileggere in pace Guerra e pace, ripreso in mano a settembre. Vorrei raccontare in pace una storia a mio figlio, nato in settembre. Vorrei raccontare in pace una storia ai miei alunni, rivisti a settembre.

E invece no. Nulla di tutto questo posso fare — e tutto a causa del più bello dei mesi, settembre, l’ultimo dei quali ha però reso la Terra desolata e posto così la propria candidatura a essere designato come il più crudele dei mesi, scalzando l’aprile indicato invece come tale dal cattolico antisemita T.S.Eliot.

Nulla di tutto questo posso fare, perché tutto io sono, e sei tu, e lui e lei e loro, tranne che “in pace”. (E se provo a rituffarmi nel primo libro della mia Bibbia personale, Moby Dick, non posso non soffermarmi sul fatto che subito, nel primo capitolo, Ishmael riflettendo sulle ragioni del proprio prendere il mare ritiene che si tratti di una «parte del programma grandioso elaborato dalla Provvidenza tanto tempo fa», ma una cosa minore, come «una sorta di breve interludio, un piccolo assolo tra esibizioni molto più ampie», e immagina che «sulla locandina, questa parte del programma dovesse situarsi più o meno così:

Grandi contestazioni alle elezioni del Presidente degli Stati Uniti.

Un certo Ishmael va a caccia di balene.

Sanguinosa battaglia in Afghanistan.»)

Allora ho deciso di lasciar perdere tutto e raccontare una storia. Una storia di un grande poeta americano di origini svedesi, Carl Sandburg. C’è un libro molto bello, del 1922, uscito in italiano in due volumetti Mondadori del 1997 e del 1998 nella traduzione di Angela Ragusa, Storie di Rutabaga (in precedenza, nel 1989, la prima parte era stata pubblicata presso Piccoli in una traduzione meno felice ma arricchita da una bella introduzione di Mario Soldati e dalle preziose illustrazioni di Michael Hague).

E' un bellissimo libro di storie fiabesche, da leggere ad alta voce, magari ascoltando i Songs to grow on di Woody Guthrie. Vi si trovano storie divertenti e strampalate, poetiche e buffe, volpi blu, rotaie a zigzag, pagliacci al forno, porcelli col bavaglino, bufali irsuti, ombre di sabbia, il vento del mattino e il vento notturno e il vento blu delle ore di mezzo, del crepuscolo che non è né notte né giorno, e il vento di nordovest, e mille e una vicenda. Musica e musica, insomma. Bellissimo.

E c’è, in questo bosco di storie, c’è quella storia che voglio narrare. Senza aggiungere altro. Preavvertendo che ogni insorgenza di senso d’angoscia è puramente casuale, cioè inevitabile.

Nel Villaggio di Fegato-e-Cipolle c’erano due grattacieli che «durante il giorno, quando la strada brulicava di gente che comprava e vendeva, parlavano fra loro proprio come si parlano le montagne. Di notte, quando tutta la gente che comprava e vendeva era andata a casa e nelle strade c’erano solo poliziotti e tassisti; di notte, quando la foschia striscia per le strade e stende su ogni cosa uno scialle porpora e grigio; di notte, quando le stelle e il cielo scrollano sulla città lenzuola di nebbia porpora e grigia, allora i due grattacieli s’inclinavano l’uno verso l’altro e bisbigliavano. Se si bisbigliassero cose segrete, o cose semplici che tu e io e tutti quanti conoscono, questo è un loro segreto. Una cosa è certa: spesso furono visti inclinarsi l’uno verso l’altro e bisbigliare di notte, proprio come di notte le montagne s’inclinano e bisbigliano.

Alta sul tetto d’un grattacielo c’era una capra di latta e ottone, lo sguardo fisso oltre le praterie e i laghi d’argento azzurri scintillanti come piattini di porcellana blu, e oltre le anse argentate dei fiumi serpeggianti nel sole del mattino. E alta sul tetto dell’altro grattacielo c’era un’oca di latta e ottone, lo sguardo fisso oltre le praterie e i laghi d’argento azzurro scintillanti come piattini di porcellana blu, e oltre le anse argentate dei fiumi serpeggianti nel sole del mattino».

Il Vento del Nord-Ovest portava loro le notizie del vasto mondo, delle montagne e del mare, e cantava e scuoteva l’oca e la capra di latta e ottone, ma sempre prometteva allegramente che non le avrebbe divelte: «Se mai vi strapperò la capra di latta e ottone e l’oca di latta e ottone, sarà perché sono addolorato per voi, perché vi sarà capitata una disgrazia e ci sarà il funerale di qualcuno».

Così il tempo passava, e il Vento del Nord-Ovest continuava a venire, portando notizie e facendo promesse. E il tempo passò e passò. Il tempo passò e i due grattacieli decisero di avere un figlio, e decisero che sarebbe stato libero, libero di correre per la prateria, verso le montagne e il mare. E il tempo passò e passò; e il figlio arrivò. «E fu un treno, il Diretto Freccia d’Oro, il più veloce treno a lungo percorso del Paese di Rutabaga. Correva per la prateria, verso le montagne e il mare. Erano felici, i due grattacieli, felici d’avere un figlio libero di correre via dalla grande città, via lontano verso le montagne, via lontano verso il mare, di correre così lontano, fino alle più lontane montagne e alle coste del mare toccate dal Vento del Nord-Ovest. E i due grattacieli erano felici che il loro figlio fosse utile, erano felici che il loro piccolo trasportasse migliaia di persone per migliaia di chilometri al giorno, e quando si parlava del Diretto Freccia d’Oro, se ne parlava come di un figlio forte e amoroso».

Altro tempo passò, e un giorno i due grattacieli sentirono strepitare gli strilloni: — Tutto sul grande disastro ferroviario! Tutto sul disastro della Freccia d’Oro! Innumerevoli vite perdute! Innumerevoli vite perdute!

«E arrivò il Vento del Nord-Ovest cantando una lenta triste canzone. E più tardi, quel pomeriggio, una folla di poliziotti, tassisti, strilloni e passanti con i pacchetti, tutti si fermarono a parlare e a meravigliarsi di due cose che giacevano l’una accanto all’altra in mezzo alla strada, tra le auto che passavano. Una era una capra di latta e ottone. L’altra era un’oca di latta e ottone. E giacevano lì, l’una accanto all’altra».

Settembre è il più crudele dei mesi.